DI ANTONIO LUBRANO

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C’è folla alle fonti di Cartaromana in questi giorni roventi di prima estate nonostante l’acqua sorgiva sia calda e si somma alla temperatura altrettanto calda all’esterno. Per questo le antiche fonti di acqua termale sorgiva con bollicine sul basso fondale separate dal mare da una bordatura bassa di scoglietti, stanno vivendo un fenomeno di credibilità e rilancio da far pensare che questa risorsa naturale pubblica, nell’arco dei secoli non ha mai smesso la sua attività silenziosa e curativa, d’apprincipio in uso delle genti del luogo e successivamente dei turisti messi a conoscenza della possibilità di beneficiarne. Sono le nuove generazioni della zona che comprende la vasta area che da Campagnano si estende a Sant’Anna fino alla Cappella della madonna del Carmine a credevi ,riprendendo una tradizione popolare molto in voga negli anni ’20 e ’30, allorquando le donne gravide, gli anziani e i sofferenti di dolori reumatici e forme acute di artriti, attendevano la buona stagione per raggiungere la spiaggia di Cartaromana per immergersi in quelle calde acque delle fonti a stretto contatto con il mare. Il sollievo che provavano era immenso tanto che per nulla al mondo vi avrebbero rinunciato per affidarsi ad altre forme di cura e benessere. Oggi le fonti di Cartaromana registrano un clamoroso “ritorno” alla sua attività naturale. E’ di qualche giorno l’uso delle fonti per bagno ricreativo e curativo secondo l’antica pratica delle popolane dell’era romana che immergevano l’intero corpo per farlo rifiorire a nuova forza di vita anche attraverso le preghiere votive rivolte alle divinità scelte. Protagonista del bagno nelle fonti della Cartaromana di oggi è una giovane famiglia ischitana mamma, padre e figlio che senza rivolgersi alle divinità come si usava fare alle origini, tutti insieme hanno provato la medesima sensazione del benessere fisico quando immergendosi hanno ripetuto il rito di chi lo ha fatto prima loro,ossia piacere e distensione delle proprie membra e del proprio spirito. Se poi usi, come ha fatto la donna, anche una crema propizia per spalmartela sulla faccia, evidentemente dietro consiglio professionale de dermatologo per ottenere un viso da bella vestale dell’epoca, significa che l’esperienza vissuta alle fonti di Cartaromana ha lasciato davvero il segno. Dal dopo guerra in poi, Cartaromana era la spiaggia dall’aspetto selvaggio frequentata dai giovani aitanti del tempo che in comitive con gozzi in affitto o di proprietà di uno di essi , si portavano fino alle fonti con lo scopo per altro di poter fare la corte a qualche donzella indigena che accompagnava i propri genitori o i pro propri nonni ai bagni della speranza. Nonostante il manifesto interesse e la fiducia che venivano riposte in quelle acque sorgive da parte degli ischitani del tempo, nessuna autorità locale, nessun imprenditore ha pensato di valorizzare questa grande risorsa che la natura ha regalato ad una località per i suoi confini e le sue testimonianze di per sè già pregna di storia antica. Cartaromana con le sue fonti, la sua spiaggia, col suo mare cristallino, i suoi scogli presenta oggi il volto di sempre. Non è mutato niente. L’aspetto selvaggio presenta i costoni che dominano la spiaggia per tutta la sua lunghezza col medesimo pericolo di “caduta massi” e rappresentano un serio affronto alla incolumità dei bagnanti delle fonti e di tutti gli altri che usano spiagge e mare. Al fascino ed alla bellezza dei luoghi ed a tutta la storia che li accompagna dai secoli passati fin ai nostri giorni, diventa opportuna e necessaria la critica da muovere a chi di dovere per la poca cura che si ha di questo prezioso lembo di costa isolana celebrata in passato, oltraggiata di recente e deprezzata oggi dove meriterebbe miglior sorte. Cartaromana è uno dei “luoghi dell’anima” dell’antico Borgo di Celsa e dell’isola d’Ischia, incrocio di storia, arte, letteratura, religione e tradizioni popolari che spiegano il “genius loci” della più grande e bella delle isole del Golfo di Napoli. Tutto in uno specchio d’acqua di grande ampiezza chiuso, da un lato, dal maestoso Castello Aragonese; dall’altro, dalla piccola spiaggia di ciottoli diventata famosa appunto, per le sue vasche naturali di acqua calda dove, volendo, è possibile immergersi anche in inverno e dalla parte della strada, la secolare costruzione restaurata della Torre di Michelangelo, un tempo abitata dalla prestigiosa famiglia D’Avalos, dai Sanseverino,occupata poi dal Guevara e da altre famiglie ischitane della zona. La speculazione edilizia laggiù non è arrivata, Se c’è stato qualche abuso, per altro anche denunciato, è stata poca cosa. Cartaromana con i suoi scogli di Sant’Anna e le sue fonti no celebrate come meriterebbero, si mantiene intatta da secoli da quando i movimenti tellurici, trasformandola l’hanno lasciato come oggi la vediamo. Essa con Sant’Anna era la continuazione della città smmersa di Aenaria tra il Castello e gli stessi scogli di S.Anna, la cui scoperta avvenne nel 1972 ad opera di due sub ischitani esperti in immersione in quei tratti di mare, Rosario D’Ambra e Pierino Boffelli. Rinvennero anfore, un lingotto di piombo e altro materiale archeologico che fu subito portato all’esame del sacerdote archeologo di Lacco Ameno Don Pietro Monti. Le ricerche continuano ancora oggi con risultati sempre più sorprendenti.

02/07/2015 · L'EDITORIALE

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di ANTONIO LUBRANO

Se Forio è già mobilitata per il suo Tragicus Actus, in vista della prossima Settimana Santa, quasi alle porte, Ischia è ferma al palo per le manifestazioni tradizionali pasquali popolari cui gli ischitani e i forestieri erano abituati a seguire con piacere e rispetto. Fra le più interessanti, si ricorda la forte e suggestiva processione dei “Fratelli Bianchi” con le loro possenti voci che usciva nel primo pomeriggio del Giovedì Santo, seguendo il percorso Ischia Ponte – Porto d’Ischia per la rituale visita ai Sepolcri. Erano i Fratelli della Congrega di Maria di Costantinopoli a Ischia Ponte, che con Mons. Onofrio Buonocore prima e don Liberato Morelli dopo, sapeva mantenere saldo lo spirito di partecipazione con i suoi numerosi iscritti, e dimostrarsi gruppo di congregazione ed aggregazione compatto, con uno statuto proprio, un direttivo decisionale e una divisa di vestizione che i “Fratelli” indossavano con orgoglio e devozione verso la Madonna di Costantinopoli a cui facevano riferimento. Le loro uscite ufficiali nelle processioni e nelle funzioni sacre nella stessa Congrega, in veste bianca con mantellina azzurra recante ai pettorali il distintivo con l’immagine della Madonna, destavano sincera ammirazione fra i fedeli dell’antico Borgo di Ischia Ponte. L’occasione più importante delle loro uscite era per l’appunto quella speciale del Giovedì Santo, allorquando Fratelli scelti fra gli iscritti, vestiti con la sola veste bianca e un cappuccio di uguale colore che copriva capo e volto, fatta eccezione dei soli occhi, in processione partivano dal Centro Storico di Ponte per la tradizionale visita ai sepolcri allestiti nelle varie chiese l’ungo l’intero percorso stabilito. Erano i Fratelli incappucciati del “Sono Stato io l’Ingrato…”. Al Fratello incappucciato più forzuto, veniva affidata la pesante Croce col Cristo Crocifisso. Si chiamava Biagio (Biase per gli amici), portava degli occhiali spessi a doppia lente e si compiaceva del ruolo in esclusiva che credeva di avere. Infatti fu portatore della Croce per molti anni. Fino alla sua scomparsa. Parliamo degli anni ’50. La processione dei “Sono Stato…” era composta da una cinquantina di Fratelli Incappucciati a cui si richiedeva una voce ferma e tuonante per il canto liturgico del tradizionale inno di passione. Costoro lo cantavano davvero con passione, con voce altissima, tanto che l’ eco era percepita da un kilometro di distanza. Ad esempio, se la processione era giunta alla Mandra, e il canto di passione era all’apice della sua tonalità, esso veniva percepito oltre la Chiesa di San Girolamo in Piazzetta. Così che si stabiliva che la processione dei “Sono Stato…” stava per arrivare alla prossima chiesa per la visita itinerante dei “Sepolcri” che era quella di San Pietro Un esempio di tradizione pasquale che affascinava chiunque vi partecipasse con fede pura. Don Liberato Morelli fungeva da sacerdote penitente in testa al corteo che da Ischia Ponte, percorrendo tutto il Centro Storico, Via Pontano, Corso Vittoria Colonna, Via Roma e Via Iasolino, giungeva fino alla chiesa di Portosalvo , dove l’attendeva l’ultimo Sepolcro allestito per la rituale adorazione. Volendo addentrarci nel vasto campo della storia, scopriamo che l’ordine dei fratelli incappucciati fu fondata nel 1615 dal Vescovo di Ischia Inigo D’Avalos (1590 – 1637) che volle seguire la stessa strada di suo zio, il Cardinale Innico D’Avalos d’Aragona che qualche decennio prima, aveva costituito il gruppo dei dodici apostoli incappucciati in quel di Procida appartenenti all’antica Confraternita dei Bianchi dell’isola. fondata dallo stesso Cardinale nel 1583. Mons. Inigo D’Avalos dimorò sia nell’episcopio del Castello, sia nel piano nobile della Torre del Ninfario chiamata dopo, Torre di Michelangelo, preferita particolarmente d’estate, sia nell’episcopio del Cilento dedicato all’Annunziata. L’ordine dei fratelli dell’Arciconfraternita di Maria di Costantinopoli ad Ischia Ponte, col passare degli anni ha annoverato sempre più iscritti tanto da formare un gruppo consistente e devoto verso quel piccolo Tempio che nel lontano passato i loro avi avevano contribuito ad erigerlo. Oggi è mutato quasi tutto. L’ordine dei fratelli in Maria di Costantinopoli esiste ancora. Le loro uscite ufficiale con la veste bianca e la mantellina azzurra con le effigi della madonna sui pettorali, soro rare e limitate per lo più alla processione del Santo Patrono San Giovan Giuseppe della Croce ed a qualche altra processione minore che si svolge nell’ambito di Ischia Ponte. Sono invece spariti gli Incappucciati, quelli che venivano identificati come i “Fratelli del Sono Stato Io l’Ingrato…”. Di essi non c’è più traccia e niente si è fatto fin’ora per riportare alla luce qualche frammento della loro interessante storia. Abbiamo, però, motivo di credere che non tutto è perduto. Se l’ordine dei fratelli esiste ancora, vuol dire, che anche la loro storia passata, non è del tutto morta e sepolta. C’è sempre qualcuno disposto ad uscire allo scoperto col desiderio di ricordare e celebrare il passato. I fratelli incappucciati in Maria di Costantinopoli possono risorgere e riscrivere la storia con il linguaggio moderno. La Settimana Santa, nell’era delle comunicazioni aperte, di Internet e della piazza virtuale dominata da Facebook, è vista come manifestazione di fede profonda e partecipazione al Calvario di Cristo, ma anche quale cristiana rievocazione del momento più drammatico della sua storia. La gente ne assapora il significato in tutti i suoi risvolti ed in essi si immedesima per essere più coinvolta possibile. Ogni mezzo per la diffusione conquista, affascina, crea proseliti. La Radio, la Televisione, i giornali si impossessano dell’evento che la Chiesa gestisce e controlla. Ormai la fede dimostrata non è più intimo sentimento nascosto nel chiuso del proprio animo. La Folla di Piazza San Pietro inneggiante a Papa Francesco, le palme sventolanti, le processioni dei Misteri del Giovedì Santo in Italia e nell’intero mondo cristiano, la stessa bella processione della vicina Procida del Venerdì Santo rappresentano il modo come la chiesa diffonde il proprio messaggio evangelico utilizzando tutti mezzi leciti per arrivare e penetrare nei cuori delle persone, giovani e vecchi, uomini e donne. Tutto alla luce del sole. Sarebbe il caso che anche i fratelli incappucciati di Ischia Ponte risorgessero a nuova vita. A partire da quest’anno, anche se il tempo a disposizione per riorganizzarsi non è poi tanto. L’eco lontana del vecchio inno gridato della Passione “Sono Stato Io l’Ingrato, Gesù Mio Perdon Pietà…” è ancora vivo, si canta ancora e c’è chi, come il Prof. Michele D’Arco, membro del Direttivo della Confraternita di Maria di Costantinopoli, vorrebbe fortemente che venisse per davvero riproposto, nella maniera tradizionale con il ritorno degli incappucciati della Congrega, in mistica processione, da Ischia Ponte fino al Porto lungo il percorso dei sepolcri del Giovedì Santo.

 

 

13/03/2015 · L'EDITORIALE

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Per la diagnostica di restauro una Tac preliminare all’ospedale Rizzoli per i due Sarcofagi Egizi.

di ANTONIO LUBRANO

  • Sarà che nostro padre è nato e vissuto per oltre 45 anni in Egitto. Sarà che le nostre sorelle sono nate e vissute, negli anni dell’infanzia, nella terra dei faraoni, l’una in Ismailia e l’altra a Port Fuad, sara’ che abbiamo messo piede in quelle terre fra le piramidi, sarà appunto anche, e forse soprattutto questo , che ci fa sentire presi e coinvolti da ciò che in questi giorni sta accadendo sul Castello Aragonese di Ischia. Negli annali della storia dell’antico maniero è possibile individuare la presenza o il solo passaggio di vari popoli o estrazioni di essi, da quello greco e fenicio a quello turco e armeno, dallo spagnolo e portoghese a quello francese e inglese, da dinastie come quella angioina, sveva, normanna, aragonese e dei D’Avalos . Ma mai di esemplari delle due sponde del Nilo nell’antico Egitto. Certo, di questi ultimi, non si può parlare di esseri viventi, di persone vive e vegete in licenza premio o in vacanza, approfittando del bel tempo di queste giornate della prima decade di un clemente ottobre. Questi sono tavole di mummie in sarcofagi spediti ad Ischia da Bruxelles , per un trattamento speciale, quello del restauro. Infatti da qualche anno il Castello d’Ischia è stato elevato a sede dell’Istituto Europeo del Restauro con un “Laboratorio Sperimentale del Restauro” collocato nella chiesa dell’Immacolata ed un “Laboratorio del mobile” collocato nei locali dell’antico monastero delle Clarisse. Questi spazi lindi, di speciale lavoro, pieni di luce e di mistero, che evocano reminiscenze storiche secolari , fungono da punti di incontro tra esperti e studenti, per l’applicazione pratica di nuove metodologie e materiali, destinati ad evolvere il settore del restauro nella visione generale. Finora sono stati portati a termine restauri importanti e seguiti corsi mensili (full immersion) con un intenso programma didattico per laureandi e laureti in due realtà di laboratorio diverse: il “Cantiere di Restauro” e il “Laboratorio di Restauro”. La svolta sociale e culturale che negli ultimi anni è stata data al Castello Aragonese, sempre più presente nel contesto della promozione turistica dell’isola, è una magnifica premessa ed un segnale vero per le importanti iniziative future che verranno. Il merito indiscusso è della famiglia Mattera dei due rami familiari, e nello specifico, degli eredi del defunto Gabriele Mattera, l’arch. Nicola e sua sorella Cristina, che collegati all’evento ultimo, quello del l’arrivo ad Ischia di due sarcofagi egizi per il restauro, possono a tutto titolo essere orgogliosi del lavoro fin’ora svolto, in prosecuzione di quello iniziato dal loro amato genitore. E’ un momento quello che si vive a Ischia di straordinaria rilevanza culturale e di immagine, che va oltre i confini di una normale programmazione di eventi. Il Castello Aragonese di Ischia sede dell’Istituto Europeo del Restauro presieduto dal restauratore Teodoro Auricchio, in filo diretto con il Musèes Royaux d’Art e d’Histoire di Bruxelles per una operazione che sta richiamando l’ attenzione mondiale. Riuscire nell’affidamento di reperti storico-archeologici di così vasta importanza ed ottenere il loro trasferimento ad Ischia sul Castello Aragonese per essere, in questa sede, sottoposti ad una studiata diagnostica del restauro con successiva esposizione al pubblico dei due sarcofagi egizi in questione, non è cosa da poco. Si sta operando in piena e riconosciuta professionalità. Lo si è capito sabato mattina all’incontro di alto livello sul Castello d’Ischia, promosso dall’Istituto Europeo del Restauro, dove sul delicato argomento sono stati ascoltati gli autorevoli pareri della restauratrice Isabella Rosati, del prof. Dott. Eric Gubel del Museo Belga, dell’egittologo Luc Delvax, del restauratore Teodoro Auricchio presidente dell’I.E.R. AAC, del Prof. Wouter Bracke direttore dell’accademia belgica di Roma e infine dell’ambasciatore del Belgio in Italia S.E. dott. Mertens e Wilmars Vincent. Parole di ammirazione e di compiacimento ed anche di soddisfazione sono state espresse dell’assessore alla cultura del Comune di Ischia avv. Isidoro Di Meglio. Il Vescovo di Ischia Sua Ecc. Mons, Pietro Lagnese, arrivato sul castello sul finire dell’incontro (un Vescovo di Ischia per la prima volta invitato sul Castello ad un evento ufficiale, a parte gli episodi della Via Crucis con i Vescovi scomparsi Pagano e Strofaldi), ha benedetto i presenti e l’opera meritoria in corso, che sicuramente non si fermerà a quest’ultimo evento che di per sé rappresenta già il top. Anzi, è da considerarsi in assoluto, l’evento culturale più importante dell’anno. La giornata inaugurale del progetto, intorno al quale lavora una equipe internazionale guidata dal restauratore amico di Ischia Teodoro Auricchio con Anna Lisa Pilato e dall’egittologo Luc Delvaux, analizzerà e restaurerà in pubblico, ossia a porte aperte, i sarcofagi egizi esposti da sabato mattina 18 ottobre nella chiesa sconsacrata dell’Immacolata sul Castello. Sarà un lavoro portato avanti con estrema attenzione e scrupolo. La diagnostica del restauro riservata ai due importanti reperti archeologici dell’antico Egitto, ospiti della nostra isola, hanno già avuto un trattamento “curativo”preliminare, il giorno dopo ill loro arrivo Ischia. Infatti, trasferiti all’ospedale Rizzoli di Lacco Ameno sono stati sottoposti ad una Tac preventiva come normali pazienti in cura. Per la loro conservazione e sicurezza , i due Sarcofagi egizi con tavole di mummie adagiate in apposite bare o casse di legno, possono dormire sonni tranquilli. A loro beneficio e dei restauratori, va detto che il modulo laboratoriale-espositivo dell’istituto Europeo del Restauro con sede sul Castello Aragonese di Ischia, è tecnicologicamente avanzato, e garantisce un ambiente idoneo alla conservazione dei due reperti. Sono in dotazione webcam e schermo per il collegamenti in diretta con la direzione del museo belga e possiede strumentazioni laser, miscoscopi e sistemi per la depurazione dell’aria attraverso irradiazioni uv. Il modulo permette di restaurare ed esporre allo stesso tempo le opere in pubblico. La giornata dì apertura dei lavori ed al contempo di espssizione dei due sarcofagi, è finita in musica, con un apprezzato concerto.
22/10/2014 · L'EDITORIALE

Le spiagge isolane, belle e vuote, per colpa dell’uso delle piscine d’albergo – Un problema annoso che non ha mai trovato una soluzione soddisfacente perché una delle parti, gli albergatori, ha fatto sempre finta di niente – Sarebbe ora di trovare un rimedio per rilanciare le nostre spiagge ed il nostro mare nei mesi in cui arrivano i turisti stranieri – la nostalgia degli anni ’60 e ’70 quando la natura si fondeva con i sentimenti – Strade, negozi e ristoranti come in piena estate

SPUAGGIA DEI MARONTI CON VISTA SANT'ANGELO

di ANTONIO LUBRANO

L’estate 2014, allungatasi per benevolenza della natura mutevole, fino al corrente ottobre, sta offrendo agli ischitani e non solo, una coda di quelle insperate che non ti consentono ancora di appendere l’ormai usato costume da bagno al chiodo. Ciò significa che l’isola con tutte le sue attività, è più viva che mai, e sfrutta queste giornate radiose, sia pur di tiepido sole, al meglio delle sue capacità, organizzative e ricettive. C’è molta gente sull’isola, specie in questo fine settimana con una domenica tutta rose e fiori, nel senso della buona accoglienza e degli spazi sul territorio, tutti a disposizione. Da Sant’Angelo al Castello, la maggior parte degli alberghi registra il quasi pieno, soprattutto in virtù dell’offerta speciale lanciata via Internet un mese addietro, confidando nella clemenza del tempo previsto senza bizze. Strade, negozi e ristoranti affollati come in piena estate. Vi sono alberghi che pur di guadagnare nel numero hanno portato la propria tariffa ad un prezzo più che generoso, di 50 euro per persona a mezza pensione escluse le bevande e qualcos’altro che la direzione dell’hotel non giudica regalabile. In generale, tutto buono per il turista che ha scelto ottobre per la sua vacanza ad Ischia, pur sapendo di rischiare con le condizione atmosferiche di cui non ci si può fidare del tutto. Del resto, valutando la situazione in tutti i suoi aspetti, c’è da dedurre che se il tempo fosse stato inclemente, poco sarebbe cambiato, grazie ad ogni confort che vanta l’albergo dove si è ospiti, a cominciare dall’uso della piscina fino alla cura elioterapica sugli esposti terrazzi ed al bordo della stessa piscina. Oggi è così. Alcuni decenni fa, la situazione era diversa, dove oltre alla categoria degli albergatori, vi campava con notevoli entrate, un’altra categoria, quella degli stabilimenti balneari e gestori delle nostre invidiate spiagge in tutta l’isola. A vedere le spiagge oggi in questa prima decade di ottobre benevolo, belle e vuote e raffrontarle con gli stessi arenili degli anni ‘60 e ‘70 che si presentavano notevolmente frequentati, per lo più da una clientela stranera composta da tedeschi in massima parte, olandesi, svizzeri e inglesi, fa tanta tristezza, e ripropone un problema non trascurabile che lamenta ormai da anni la categoria colpita,ossia quella che da tempo sta rinunciando a una clientela sicura che volentieri si riversava in spiaggia, di mattina e pomeriggio, facendo uso di cabina, sedia, ombrellone e bar per felicità e la fortuna degli stessi gestori di stabilimenti balneari delle spiagge più rinomate dell’isola, come quelle dei Maronti, del lido di Ischia,della , Mandra, di Punta Molino, di Cartaromana, del Bagnitiello, della Marina di Casamicciola, di Lacco Ameno, di Citara, di Forio. I turisti stranieri, per lo più tedeschi , del Belgio e svizzeri amavano recarsi in spiaggia per abbronzarsi al nostro sole e bagnarsi nel nostro mare, tra i più limpidi al mondo, e poter beneficiare, per desiderio di che ne aveva bisogno, di salutari sabbiature calde per i propri acciacchi. Erano i turisti di Aprile, Maggio e Giugno e di quelli che arrivavano ad Ischia, dalla Germania, incolonnati da storiche agenzie di viaggio come la Nekermann, la Kaufof, la Silowich e qualche altra minore, nei mesi di settembre, ottobre e parte di novembre, lasciando i mesi intermedi di luglio ed agosto al turismo italiano, soprattutto campano. Erano senza dubbio altri tempi dove il profitto era più consistente ed anche più facile. Poi sono arrivati i tempi bui con le nostre belle spiagge entrate in una crisi senza via di sbocco, per via delle piscine che ciascun albergo si dotava e costruiva avvolte eludendo rigorose regole di legge. Nel nuovo modo di accogliere la propria clientela, assicurando alla stessa di potersi fare il bagno all’aria aperta in casa, si sono distinti dapprima gli alberghi grandi, offrendo quanto di meglio potesse desiderare il cliente più esigente, distogliendolo appieno dall’idea di abbandonare l’albergo per spiaggia. Operazione riuscita. Poi sono seguiti a ruota gli alberghi isolani di seconda fascia ed infine le medie e piccole pensioni, abituando così il turista a beneficiare di tutto in casa a volte anche a prezzi stracciati, a seconda del proprio piano di promozione con le classiche “offerte speciali” , che spesso hanno provocato numerose polemiche fra chi tiene all’immagine dell’isola d’Isola e chi pensa solo al proprio tornaconto, senza curarsi che così facendo, provoca danni irreparabili al buon nome dell’isola sul mercato turistico nazionale ed internazionale. Ma questo è un altro discorso. Il problema del momento sono le nostre spiagge belle e vuote del dopo luglio-agosto, quando si riduce all’osso l’affollamento estivo, un tempo sostituito dal flusso dei tedeschi e di turisti di altre nazionalità europee. I gestori dei numerosi tratti di spiaggia avuti concessione, vorrebbero che gli arenili, non solo quelli sotto la loro cura, ma che quelli liberi, fossero oggetto di un serio rilancio i n modo che potessero, in un futuro il più vicino possibile, tornare ad essere frequentati dai turisti stranieri, che oggi in maggioranza non sono tedeschi o9landesi e svizzeri, ma russi, croati, ucraini, serbi e di altri paesi dell’est. Con questo. L’appello viene lanciato agli stesi albergatori ai quali si chiede di invogliare i loro clienti stranieri a frequentare anche le nostre spiagge, magari illustrandone i benefici effetti sotto ogni punto di vista. In questa operazione le autorità preposte, i sindaci, gli assessori al patrimonio ed al turismo, la Regione dovrebbero con decisione intervenire per convincere gli albergatori ad assumere una posizione aperta al problema di cui i gestori delle spiagge belle e vuote lamentano, specie in questa straordinaria coda d’estate anomala 2014, dove l’assenza del turista straniero sdraiato al sole sulla tiepida sabbia di una qualsiasi spiaggia dell’isola, si sente tanto, manca molto a chi è nostalgico del passato. Di quel bel passato, dove non si dimentica neanche la facile conquista della straniera innamorata in un contesto di tutt’altro stampo e di tutt’altra vivibilità. Con tutto questo non si vuole che gli albergatori chiudano le loro piscine, con cui trattengono in casa la loro la clientela a danno completo degli stabilimenti balneari, delle nostre spiagge e del nostro mare. Anzi, facciano pure i propri affari, come fin’ora li hanno sempre fatti. Ma, invoglino i propri clienti a godere anche delle nostre spiagge e del nostro mare. Questa bella coda d’estate, nei loro freddi paesi, non l’avrebbero dimenticata, nemmeno campassero cent’ anni.

13/10/2014 · L'EDITORIALE

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Locandina PE TERRA ASSAID LUNTANE

di ANTONIO LUBRANO

 Prende il via l’ormai consolidata manifestazione “Pe’ Terre Assaje Luntane”, anche quest’anno nel segno di Salvatore Ronga che per l’edizione 2014, ha pensato bene di puntare tutto sull’”Emigrazione dei bambini verso nuovi mondi”. Ronga, crediamo, si riferisca ai nostri bambini, ai bambini strappati ai loro luoghi di origine in compagnia dei propri genitori o per “chiamata” qualche tempo dopo, per trasferirsi chi a New York, chi a San Pedro di California, chi a Mar del Plata in Argentina, chi Sidney in Australia, chi Canada, chi in Algeria. L kermesse di Robga di evidente matrice culturale,storica e rievocativa, non è la stessa con la quale si esordì. E’stato dato un altro taglio all’annuale appuntamento di settembre dove in scena non è più la famiglia emigrata ischitana. Ronga ha messo in campo nuovi elementi per diversificare una manifestazione che sembra sempre più, un convegno a cui sono invitati personaggi cattedratici da studio del fenomeno emigrazione, dove si predilige il dibattito con interventi spesso troppo in libertà. Lo sforzo di Ronga e dei suoi fedelissimi collaboratore e fans del suo pensiero, rimane encomiabile e apre alle novità non da tutti, però condivise. Come ad esempio il rilancio di una discutibile affermazione dell’accademico Leonard Covello secondo cui i ragazzi emigrati, diventavano americani, imparando a vergognarsi dei loro genitori, anche se vedeva il mezzo
per facilitare la transizione dei ragazzi da immigrati a cittadini integrati senza separarli dalle loro comunità o cultura nativa, anzi suscitando in loro l’orgoglio delle proprie radici. E’ difficile pensare che i bambini emigrati, almeno i nostri, quelli che lasciarono le realtà quotidiane di Barano, Testaccio, Fontana e della stessa Ischia, una volta inseriti da giovanotti prima e da adulti poi, completamente nella società americana in veste di riconosciuti professionisti, dirigenti, industriali, uomini politici e delle varie chiese disseminate sull’intero territorio statunitense, potessero vergognarsi dei propri genitori provenienti da lavori nobili come la pesca e l’essere contadini a 360 gradi o carpentieri. L’essere “nati due volte”, una volta figli di poveracci e l’altra figli di un’America che li accoglie da protagonisti con la sola “vergogna” di chi li ha generati, Ronga lo annota nel suo comunicato di presentazione della Rassegna di domani. E pare senza obiezioni. Noi invece l’obiezione la facciamo, specie quando pensiamo a famiglie isolane di Ischia, di Barano, del Testaccio di nostr conoscenza ,che emigrate nelle Americhe con i loro bambini, ha conservato una unione familiare esemplare, soprattutto nel rispetto fra figli e padri. Possiamo fare gli esempi delle famiglie Baldino, Lauro, Di Leva, Cigliano, Prmavera, Mattera, Iacono, Boccanfuso i cui figli, inseriti appieno nella società americana, argentina, australiane da posizioni di prestigio ed avvolte anche di comando, non hanno mai rinnegato l’amore ed il rispetto per chi li aveva messi al mondo, vergognandosi di loro per la diversita di condizione sociale tra padre e figli. In ogni modo il Cartello culturale di Salvatore Ronga è chiaro ed impegnativo. All’emigrazione minorile è dedicata l’undicesima edizione di “Pe’ terre assaje luntane”. La manifestazione, a cura dell’associazione Ischitani nel mondo, si svolge presso la Torre del Molino d’Ischia da domani 12 fino al 15 settembre. Tra documenti e illustrazioni, la mostra disegna un viaggio sulle tracce dei bambini partiti per le Americhe, a bordo dei transatlantici che sono stati il vanto della marineria di casa nostra, senza trascurare, nella trama fitta di storie e racconti, i fili che si dipanano da Ischia: I piccoli pescatori imbarcati per i mari africani e impiegati per sorvegliare le attrezzature nei capanni, i tanti ragazzi partiti sul finire degli anni Trenta per raggiungere i genitori in California con negli occhi il sogno di strade lastricate d’oro, e, a partire dal secondo dopoguerra, la traversata transoceanica in cerca di un nuovo paese dei balocchi sulle coste argentine. Seza dubbiio il racconto dell’emigrazione ischitana, per ciò che ci riguarda, affascina sempre. L’isola d’Ischia ricorda e celebra la ricorrenza degli oltre cento anni da quando, nei primi anni del 1900, nacque e si sviluppò il primo massiccio esodo di cittadini ischitani da ogni parte dell’isola, verso “Terre assai luntane…” Fu un’emigrazione in grande stile dove si abbandonò la propria terra di origine, i propri cari, gli amici per inseguire fortune a lungo sognate, condizioni di vita migliori e speranze più concrete per un avvenire più certo. Tutto ciò al costo di grandi sacrifici patiti alla partenza,all’arrivo e durante la permanenza nella nuova terra di residenza. Fu un partire sofferto, fra lacrime e promesse di ritorno. Si accodarono ai trentini, napoletani, salernitani, toscani, siciliani, pugliesi e calabresi facendo registrare la più grande emigrazione (14 milioni) di italiani del secolo appena iniziato.Si emigrò principalmente in Nord America per stabilirsi in Canada a New York, nel New Jersey, A Philadelfia, Boston, Baltimora, nel Connecticut, in California a Cicago, Ditroit. Gli Stati Uniti d’America furono la prima meta per migliaia di ischitani emigrati. Altri preferirono l’Argentina, sistemandosi in gran parte a Buenos Aires e Mar Del Plata. Altri ancora in Uruguay a Montevideo. Infine, il resto raggiunse il Brasile, Venezuela e l’Australia. L’emigrazione degli ischitani verso le Americhe ha avuto varie fasi, a partire dai primi anni del 1900, toccando punte massime negli anni ’20 e ’30, per concludersi sul finir degli anno ’50. Il secolo precedente, ossia l’800, vede l’isola registrare forme di emigrazione verso alcuni paesi sopradetti verificatesi fra il 1870 ed il 1897. Ma è il ‘900 fino alla sua metà, che per lo più scrive la storia dell’emigrazione isolana oltre oceano. Da Barano d’Ischia partì la gran parte degli ischitani. La frazione di Testaccio conserva il record. Seguono a ruota Ischia, Forio, Serrara Fontana, Casamicciola e Lacco Ameno. Non tutti si imbarcarono a Napoli. Una buona parte fu costretta a raggiungere i porti di Genova, Ancona, Livorno, Trieste, Palermo ove erano ormeggiati i grandi Transatlantici italiani dell’epoca appartenenti alle quattro maggiori compagnia nazionali, la “Navigazione Generale Italiana”, “Lloyd Sabaudo”, “Transatlantica Italiana” e Società “Italia” E a quelle minori La Veloce, i fratelli Grimaldi, Achille Lauro, Costa ecc. Il viaggio su quelle navi, fra i disagi e lo svago, rappresentarono per i numerosi ischitani, considerati “passeggeri”, la prima grande esperienza della loro nuova vita.

12/09/2014 · L'EDITORIALE

PIENNOLI DI POMODORI DELLA TERRA DI PIANO LIGUORI SOPRA CAMPAGNANO CON VISTA IL VESUVIO

LE SAN MARZANO TAGLIATE POER ESSERE SECCATE AL SOLE

POMODORI E CINSERVA

IL GUSTO E LA BELLEZZA DEI NOSTRI POMODORI

di Antonio Lubrano

Bottiglie di pomodoro, conserva e pomodori secchi sono stati in passato la passione di molte donne dell’isola, soprattutto nei comuni particolarmente agricoli come Barano e Serrara Fontana dove la coltivazione del pomodoro insieme a quella della vite era primaria. Ma anche Ischia e Forio con i loro larghi terreni a coltivazione varia, vantava una produzione di pomodori di tutto rispetto. Lacco Ameno e Casamicciola invece, laddove la produzione propria appariva insufficiente, ricorrevano ai comuni confinanti per l’acquisto dell’ambito prodotto. Oggi, nonostante la mutazione del territorio, la crisi vocazionale al lavoro della terra, la progressiva fuga dai campi; nonostante la perdita di tanti valori che hanno legato intere generazioni ad amare la propria campagna e ciò che essa dava per la sopravvivenza delle famiglie isolane, c’è ancora una ben individuata parte di ischitani che non ha dimenticato le proprie origini contadine e tiene in vita una tradizione che pare sia dura a morire. La tradizione resiste e affascina ancor di più le famiglie moderne che provano piacere e divertimento nel pensare alle bottiglie di pomodoro, alla conserva ed ai pomodori secchi esposti al caldo sole sulle terrazze di casa propria, qualche mese prima dell’estate. Riorganizzarsi ogni anno in famiglia dove la donna di casa impartisce le direttive per avviare il lavoro che dovrà concretizzarsi in rito vero e proprio in cui ciascuno poi è chiamato a fare la propria parte. Tutto ciò fa accapponare la pelle, perchè ritrovarsi in tanti, madre, padre figlie e qualche amica di famiglia a cui piace vivere quel tipo di esperienza intorno a capienti ceste di pomodori rossi della migliore qualità raccolti nel proprio orto o in un più vasto appezzamento di terreno proprio coltivato esclusivamente a pomodori di vario tipo, emoziona più di qualsiasi buona notizia che ti arriva all’improvviso. Insomma un tradizionale lavoro utile in famiglia ed in comunità che si trasforma da subito in una festa di colori e sapori a cui con l’entusiasmo genuino di che ama le cose buone della natura, vi partecipa vincendo l’ansia dell’attesa. In genere è agosto il mese dedicato alla preparazione della salsa di pomodoro imbottigliata. Sull’isola di Ischia lo fanno un pò tutti, e non solo in campagna. Basta una cucina, un terrazzo o un pergolato, una cantina dove sistemare l’attrezzatura: imbuti, mestoli, barattoli, tappi, la macchinetta passa-pomodori ed il grande pentolone dove le bottiglie dovranno cuocere a fiamma lenta. Se si ha la fortuna – e sull’isola di Ischia sono tanti – di avere un orto, si provvederà per prima cosa a raccogliere quei pomodori più maturi, compito questo che viene spesso affidato ai bambini di casa. Le donne cosiddette, matrone casalinghe, provvederanno a selezionare i pomodori, lavarli, spezzarli, passarli e poi riempire barattoli e bottiglie di vetro. Chiusi con cura verranno disposti nel pentolone a cuocere. In genere la tradizione contadina prevede che vengano avvolti in una coperta di lana in modo che non si rompano durante l’ebollizione. Operazione delicata questa, perché da essa dipende poi la migliore conservazione della passata. Spesso e volentieri è l’uomo di casa che se ne assume il compito. E mentre si compiono – senza fretta – tutte le operazioni di rito, si chiacchiera, si spilluzzica l’uva matura, e ci si tiene svegli nella calura di un pomeriggio estivo con saporite fette di cocomero rosso e caffe, per chi lo gradisce. Intanto i pomodori “pippeano” – verbo rubato al ragù quando in pentola bolle a fuoco lentissimo – tutti avvolti come fantolini nelle gramaglie di lana, e a turno le donne e gli uomini di casa controllano che tutto sia in ordine, che la fiamma non sia troppo alta, che non si rompa il vetro. Sapore, profumo, gusto e tradizione si mescolano in quello che può definirsi un vero e proprio rito che si svolge in molte case di Ischia in estate. Il lavoro, per altro anche faticoso, svolto in allegria, nasconde la pesantezza dell’impegno che ciascuno impiega quasi con devozione. Si pensa poi a quando tutto sia finito, con il frutto di quanto è stato fatto tenuto stretto tra le mani o allineato sui larghi tavoli del proprio cortile, terrazza o cantina utilizzata. Sono le tradizionali bottiglie di pomodoro dalle quali traspare la classica ed immancabile fogliolina di basilico profumato , le tradizionali passate per la conserva e i pomodori messi a seccare al sole a parlare per tutti. Un parlare dolce, di sana cultura contadina che trasferito anche negli ambienti domestici delle case borghesi isolane, si adegua al linguaggio comune dei protagonisti. Un appassionato lavoro messo in atto nel cuore dell’estate, pensando ai mesi invernali che si hanno d’avanti, all’allorquando quelle bottiglie di pomodoro realizzate con tanto amore e sudore nel calore domestico di tante case isolane, saranno la delizie della nostra tavola, il regalo di Natale per amici e parenti e soprattutto l’ ingrediente principale dei piatti forti di tutte le occasioni.

02/07/2014 · L'EDITORIALE

L’architetto colpisce ancora.  Il nuovo parcheggio non basta per migliorare il Centro Storico—————— Necessari una nuova spiaggia, una seconda strada a monte per entrare nel paese e una barriera di scogli per proteggere l’abitato e le nuove strutture – Una piazza più larga con al centro un Monumento ai pescatori da commissionare ad un artista famoso anche ischitano ——————-L’ULTIMO “SOGNO” DI SANDRO PETTI —————-SPOSTARE IL “COCO GELO’” E RICREARE L’ANTICA MARINA

  di Antonio Lubrano

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Come sempre l’architetto Sandro Petti è incontenibile. La sua audacia nel progettare opere a cui altri non arrivano, ce la fa credere come cosa del tutto normale. Il suo dna parla chiaro, come chiare sono le sue idee. Siamo alla conclusione della nostra lunga conversazione a più tempi tenuta  con l’Architetto nella sua accogliente casa di Ischia sulla Riva Destra del Porto. Conversazione che per amore della sintesi, abbiamo limata e divisa in quattro puntate, di cui le prime tre sono state già sottoposte all’attenzione dei nostri lettori. Quindi, questa che segue è la quarta ed ultima puntata, in cui Sandro Petti colpisce subito nel segno. Senza giri di parole disegna e ci espone la sua idea su come la parte terminale di Ischia andrebbe trasformata, riqualificando tra l’altro, nell’intero contesto progettuale, l’insostituibile ruolo, per storia e tradizione, del noto e “simpatico” Ristorante-Bar “Cocò” che secondo Petti, andrebbe spostato con nuova e migliore struttura a fianco sulla destra del Torrino dell’Aquedotto. Ma vediamo come ce lo dice l’architetto in questa sua lucida esposizione che noi abbiamo così ricostruito: “Alla base dell’istmo che porta al Castello C’è il noto e simpatico locale “Cocò”, del cui abbattimento si è parlato in diverse sedi e a più riprese, ritenendolo costruzione più o meno abusiva; Considerando però quanto quel locale sia diventato ormai una pietra miliare di Ischia, io propongo in alternativa di spostarlo, così com’è, subito  dopo il Torrino della condotta idrica che arriva da Napoli; il nuovo “Cocò” potrebbe rappresentare infatti quasi la continuazione del Torrino stesso. L’incombro volumetrico del locale rimarrebbe esattamente uguale; verrebbe modificato solamente il tetto e più specificatamente sto pensando ad una copertura con i colori impressi a fuoco che darà l’effetto finale di una tenda gialla e verde, in consonanza cromatica con le scaglie delle cupole ischitane. Il tutto circondato da una corona di canne con foglie. Spostando quindi il Cocò dall’altro lato del Torrino, si spalancherebbe senza più impedimenti visivi la visuale inedita del Castello in una piazza dalla vista straordinaria , dove anche quella Croce votiva, ora oppressa dalla voce del bar, acquisterebbe un suo perché. Volendo, la piazza potrebbe essere in parte riempita dai tavolini del “Cocò”, con un vantaggio sia per l’esercizio commerciale che per il paese. Si potrebbe mangiare e bere godendosi la vera vista del Castello , finalmente libera e completa. Anche qui potrebbe nascere una certa piazza con fontana o un monumento ai pescatori – come a Roma in Piazza di Spagna  il Bernini fece una fontana con una barca tipica del Tevere – e la nostra scultura potrebbe essere una barca come quelle felicemente interpretate in centinaia di quadri dal compianto Mario Mazzella. Subito dopo il ponte/istmo che porta al Castello, si può pensare a creare un riporto piuttosto notevole di sabbia, ripristinando la spiaggia che già c’era un tempo, come ci dimostrano le foto d’epoca del luogo. E i muraglioni con il loro ingombro che ora si trovano proprio lì, potrebbero essere demoliti per far posto invece ad un bellissimo marciapiede lungomare che separi la spiaggia dalla piazza, dove abbiamo detto, verrebbe collocato il “Cocò”e che sarà cosi più pronta e meglio predisposta ad ospitare le numerose manifestazioni in programma nella bella stagione, avendo finalmente come sfondo il Castello intero ed il suo specchio di mare e, anche qui, le due quinte di autentica architettura ischitana. Ora va considerato che per godere appieno di questa spiaggia, essa va protetta dallo scirocco che da quel lato non si risparmia. Bene, per allontanare il pericolo delle onde si può pensare di creare una barriera di scogli a protezione di Ischia Ponte: e quella barriera si inserirà perfettamente nel paesaggio visivo come se fosse il naturale prolungamento delle isolette di S. Anna con sulla destra il bellissimo scenario dominato dalla secolare Torre di Michelangelo.Inoltre gli stessi scogli della barriera, potrebbero diventare un luogo di balneazione, naturalmente senza minacciare eventuali resti archeologici sommersi. Come raggiungerli ? lo vedremo appresso. Con questa creazione di spiaggia , che finirebbe davanti al Castelletto, dopo quelle di Via Ferrante D’Avalos e del Pontile Aragonese, sono ben cinque le spiagge ricostruite di cui il Comune d’Ischia si avvantaggerebbe riappropriandosi del titolo di stazione balneare a tutti gli effetti. Inutile evidenziare quanto una spiaggia  sia un potente fattore di attrazione turistica , ricreando così le spiagge esistenti prima del ponte che collega il Castello (che di fatto ne decretò la fine), senza per questo trascurare l’impatto occupazionale derivante. Giunti al Castelletto (zona più o meno abbandonata, specie d’inverno, e  spesso ricettacolo di oggetti di scarto più disparati), si può pensare ad un’altra piazza e questa volta con un parcheggio. Questo perché, proprio lì, sotto l’hotel Villa Antonio, pensando a quanti si muovono in macchina, si potrebbe ipotizzare l’arrivo di una strada del tutto nuova., Si tratterebbe di una strada che creerebbe una connessione assolutamente strategia: passerebbe infatti a cavallo della cosiddetta “Puzzolana” (Via Giovan Battista  Vico, lato basso) per circa 150 metri, per poi ricollegarsi alla strada panoramica di Via Nuova Cartaromana, che porta a sua volta fino agli scogli di Sant’Anna. In questo modo si offrirebbe la possibilità di creare il terzo ingresso/uscita   da Ischia Ponte  e una discesa a mare  a vantaggio di tutta la zona di Campagnano, Sant’Antuono, San Michele e Pilastri. Vorrei che vi fosse chiara quanto questa soluzione sarebbe un po’ come la ciliegina sulla torta  di tutto il “sogno”. E sono ben consapevole che mentre tutto il resto del mio progetto  ha una sua fattibilità (anche sotto l’aspetto autorizzativo) a costi assai ridotti  e può facilmente prevedere  anche l’intervento di capitale privato, la costruzione di questa nuova strada ,invece, comporterebbe considerazioni di tutt’altro peso e coinvolgerebbe per forza di cose, la municipalità e gli enti sovraccomunali in chiave del tutto esclusiva. Ma tanto valeva, in questo contesto, farvela comunque immaginare. Anche perché, almeno per il momento, i terreni interessati sono liberi da costruzioni e potrebbero non esserlo più in futuro; ed anche in questo caso andrebbero protette difesi i due accessi. Non si sa mai, qualche coraggioso (o pazzo) amministratore potrebbe un giorno riuscire a realizzarla. Considerate che al momento l’accesso veicolare ad Ischia Ponte si limita ad una sola strettissima strada: c’è da far drizzare i capelli al pensiero che qualunque incidente o disgrazia  ostruirebbe in breve tempo  via Seminario , o comunque ne renderebbe senz’altro meno agevole  il deflusso della circolazione  e la prestazione dei soccorsi. Prevederne  altre due (il lungomare dal muro rotto fino ad Ischia Ponte, e quella appena citata dall’hotel Villa Antonio a Via Nuova Cartaromana), significherebbe snellire alla grande tutta la circolazione del Comune d’Ischia.

SANDRO PETTI GRAFICO X1

11/06/2014 · L'EDITORIALE

LA PROPOSTA PER SALVARE LO STORICO MONUMENTO DALL’INDIFFERENZA GENERALE

– Ingabbiato fra le brutte biglietterie sulla banchina rischia di passare come un ingombro da eliminare –

Appello al Sindaco Giosi Ferrandino – Il Popolo di Ischia gradisce la possibile nuova collocazione

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di ANTONIO LUBRANO

In tutto questo tempo, il Re Redentore con lo sguardo diretto al mare e non solo, ne ha visto di cotte e di crude, sopportando attacchi alla sua veneranda longevità, manomissioni pacchiane e soprattutto indifferenza storica e culturale. Tutto ciò, per prendere coscienza che ormai quello storico monumento nel posto dove ha visto la sua prima luce nel 1903, non è più adatto al suo imperituro riposo, visto che nessuno più se ne cura. Ingabbiato ed affrontato com’è dalle nuove biglietterie che ne offendono la sua regale e storica erezione, appare più opportuno che gli si conferisca una nuova collocazione. Da queste colonne lanciamo la proposta di spostarlo sull’antica Rotonda nel mezzo del Porto. Qualcuno storcerà il muso, altri approveranno. Comunque vada, crediamo che la nostra idea che trasformiamo in vera e ragionata proposta, non è campata in aria. Con lo spostamento del monumento del Redentore sulla Rotonda al centro del Porto,si otterrebbe che la rotonda stessa esca dal suo stato fatiscente e d’abbandono in cui da anni versa, e che infine, potesse fungere da solido e rilanciato piedistallo su cui poggiare il monumento del Redentore restaurato. E’stato già detto: bisogna fare scelte coraggiose per migliorare il paese. Il Cristo Redentore in mezzo al Porto d’Ischia ci fa pensare al Cristo Redentore di Rio del Janeiro in Brasile, alla statua della Libertà nel Porto di New York, al Colosso di Rodi. L’impresa, come si dice, varrà la spesa. Quindi la nostra proposta è indirizzata direttamente al sindaco Giosi Ferrandino che può cogliere l’occasione di ascrivere a sè una decisione di portata epocale qualora avesse il coraggio di assumerla. Dal canto nostro, noi non ci fermeremo qui. Il Golfo promuoverà una sottoscrizione per coinvolgere anche i cittadini in questa “crociata” nei rispetto dei nostri grandi monumenti e della loro storia. Del resto, dopo aver chiesto in giro cosa ne pensassero di un eventuale spostamento della storica statua del Redentore dalla banchina sulla rotonda al centro del porto, le risposte all’unanimità sono state tutte positive. Di fronte a questo dato confortante, l’dea, o meglio la proposta di vedere al più presto il Redentore svettare al centro del porto, possiamo dire che poggia su basi concrete. Si confida, pertanto, sul buon senso e l’ampiezza di vedute, se ce l’hannno, delle autorità comunali e degli organi dei beni ambientali il cui parere in casi del genere diventa determinante. Poichè riteniamo che il sindaco Giosi Ferrandino, in altre circostanze quasi similare, ha dimostrato forte e chiaro decisionismo, anche in questo caso abboamo motrivo di pensare che la proposta de Il Golfo possa trovare seria accoglienza. Il Monumento del Redentore è un importante pezzo di storia che il Vescovo di Ischia del tempo Mons. Mario Palladino seppe utilizzare con cristiana maestria come straordinario riferimento di tangibile cattolicità del popolo ossequiente isclano. Fu padre tenace dell’iniziativa, ottenne l’appoggio incondizionato di tutto il Clero locale, i cui parroci delle proprie realtà parrocchiali determinavano a piene mani sulla massa dei fedeli, varò per l’occasione una significativa pubblicazione in cui pubblicò testimonianze di consenso e di elogi di Cardinali, Vescovi, scrittori, artisti e perfino di due Papi, Leone XIII e Pio X, il primo, che magnificò prima di morire l’opera in programma ed il secondo, che la benedisse a pochi giorni dalla sua elezione a nuovo Pontefice. Siamo nei primissimi anni del 1900. L’iter per giungere alla installazione del Monumento al Redentore durò qualche anno. Così l’8 novembre del 1903 avvenne l’attesa cerimonia di inaugurazione in forma solenne per la presenza di migliaia di persone, di prelati, autorità civili e militari dell’isola e del Continente. Insomma Mons. Palladino fece le cose davvero in grande. Ora, quell’imponente monumento svetta da 110 anni sulla banchina davanti al borbonico colonnato della Chiesa Reale di Porto Salvo sul Porto d’Ischia, oggi in via di restauro. Poiche i tempo cambiano e con essi, cambiano pure aspettative, sogni e stato dei luoghi dove viviamo, non vediamo perché non possa cambiare anche la sede della storica statua del Redentore, specie se si considera che la banchina ove il monumento poggia, serve per tutt’altri servizi.

02/04/2014 · L'EDITORIALE

SVENTRATA LA REAL CHIESA DI PORTOSALVO

LA CHIESA SARA’ RIAPERTA AL CULTO DEI FEDELI

NELL’AGOSTO PROSSIMO

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Di ANTONIO LUBRANO

LA Reale Chiesa di Portosalvo a porto d’Ischia, per l’agosto prossimo rinascerà a nuova vita. L’idea di intervenire con lavori importanti su uno dei simboli più appariscenti e significativi dell’era borbonica era venuta a più di un parroco passato per la conduzione della parrocchia più prestigiosa della Diocesi isolana:da don Franceschino Albano negli anni ’50 fino a don Gaetanino Pugliese di poco più di un anno fa. Poi è arrivato Don Luigi De Donato, trasferito dal compianto Vescovo Strofaldi dalla meno importante Chiesa dell’Annunziata di Campagnano a quella molto più importante di Portosalvo, permettendogli di fare un salto di qualità insperato che sorprese lo stesso De Donato che sicuramente non se lo sarebbe mai aspettato. Il destino avvolte riserva meritati riconoscimenti a scoppio ritardato. A don Luigi De Donato è bastato poco per capire a quali compiti gravosi era stato chiamato ad assolvere. All’impegno ordinario doveva aggiungere il personale lavoro di ben più ampia e solida portata, a cominciare dal tanto discusso restauro della chiesa a lui affidata e renderlo fattibile nel più breve tempo possibile. I primi passi l’hanno portato a muovere le pedine giuste e a rilanciare una pratica che si era fermata per scarso interessamento. Determinante è stato l’incontro con l’architetto Liliana Buono che oltre a seguire e dirigere i lavori che già sono in corso, si è prodigata affinchè la chiesa e il parroco Don Luigi De Donato ottenessero dal fondo monetario europeo, attraverso la Regione sezione ufficio beni ambientali, un finanziamento di 300mila Euro circa necessario per far fronte a i lavori di restauro programmati. Oggi il maestoso tempio borbonico è un cantiere a cielo chiuso visto che tutti i lavori previsti riguardano esclusivamente l’interno della chiesa nella sua totalità. Essa è stata vistosamente sventrata. Tutta la parte al di sotto del pavimento rimosso nella sua intierezza , è stato rigato con larghi e profondi solchi dentro i quali verrà posizionata l’intera tubatura per il riscaldamento e raffreddamento ambientale della chiesa. Si tratta di una grossa struttura termica, abbastanza articolata nella sua messa in opera che produrrà calore d’inverno e fresco d’estate all’ambientazione della Chiesa in tutta la sua ampiezza. Il parroco don Luigi De Donato è notevolmente soddisfatto di come i lavori nel cantiere della chiesa vanno avanti senza sosta e confida che arrivi qualche altro finanziamento sia pur di più modeste proporzione affinchè si possa intervenire anche sulle pareti esterne della chiesa che necessitano di essere nuovamente biancheggiate. Il parroco De Donato segue i lavori quotidianamente con scrupolosa attenzione e parla anche dei particolari che completeranno un lavoro di restauro altamente professionale che porterà il marchio della mano esperta soprattutto dell’architetto Liliana buono, che mettendoci del suo, vuole che si proceda alla perfezione senza lasciare nulla al caso. E non ha tutti i torti, visto che si sta operando su di un monumento di alta architettura che rappresenta un pezzo di storia importante per Ischia e la sua gente. Si sta studiando il colore per la nuova tinteggiatura uniforme e gradevole alle pareti ed alle navate della chiesa al suo interno. Don Luigi De Donato gradirebbe un colore che si avvicini ad un celestino leggero con il bianco d’appoggio e che per questo trovi d’accordo anche l’architetto Liliana Buono.

Ma è ancora presto per definire la specifica fase del colore da preferire . Il parroco ha pensato anche al nuovo posizionamento della fonte battesimale che verrebbe spostata dal luogo dov’è ora sistemata, per essere ricollocata in fondo alla chiesa sul lato destro del suo ingresso. I parrocchiani, quelli che frequentano assiduamente la chiesa e quelli meno, anch’essi stanno seguendo le varie fasi del lavoro per il restauro della loro chiesa che si aspettano, ad opera conclusa, più bella e più accogliente. Leggiamo sul volto del parroco Don Luigi De Donato tutta la gioia e la soddisfazione del momento. Restituirà a tutti i suoi fedeli della parrocchia e ai turisti di passaggio una chiesa dalla nuova veste, per un rinnovo di fede e partecipazione più solido e duraturo. Purtroppo non ci potranno essere le prossime funzioni pasquali, trasferite, come la messa domenicale, nel salone delle antiche terme comunali messo a disposizione dal Comune d’Ischia. Un sacrificio che vale la pena sostenere, sapendo che fra poco più o meno di cinque mesi, si tornerà a casa, nella la chiesa riabbellita che accoglierà tutti. D’avvero tutti.

31/03/2014 · L'EDITORIALE, Senza categoria

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Di Antonio Lubrano

Nel lontano aprile del 1989, a commento di una straordinaria conferenza del prof. Romeo De Maio, promossa dalla sezione di Ischia del Circolo Sadoul, animato dall’allora nostro amico, l’indimenticabile e colto Tonino della Vecchia, sulla mitica e santa figura di San Giovan Giuseppe della Croce, tenutasi nell’allora Jolly Hotel di Porto d’ Ischia, ci venne l’audace idea di chiedere al prof. Edoardo Malagoli, presente in sala, di scrivere un articolo per noi Lubrano. Articolo, che avremmo pubblicato sul nostro giornale Ischia Mondo qualche settimana dopo, essendo il giornale stesso, mensile e per nostra fortuna, nelle grazie dell’illustre professore, il quale di tanto in tanto ci onorava della sua collaborazione con scritti preziosi. Uno di questi, fu proprio quello che in esclusiva pubblichiamo e con piacere riproponiamo ai lettori de Il Golfo, qui, in queste pagine , dove Edoardo Malagoli, secondo una sua “Più profonda visione storica” ci parla della “Umana vicenda di San Giovan Giuseppe della Croce”. A riguardo, dobbiamo aggiungere che quando gli formulammo la richiesta, non senza il timore di vedercela respinta a causa del particolare argomento in discussione ed anche per la sua nota laicità ed estraneità alle vicende della chiesa cattolica con i suoi preti e santi della storia, l’esimio professore ci sorprese. Per prima cosa ci domandò per quale motivo glielo chiedevamo con tanta remissività e cautela come se già fossimo a conoscenza di una possibile risposta non positiva. In quella occasione il Prof. Malagoli, ripetiamo, ci sorprese per davvero, perché fu brillante ed allo stesso tempo signore, di quella straordinaria signorilità nota a tutti e che solitamente dimostrava quando lo si ascolta nelle sue dotte conferenze e negli incontri con suoi ex studenti, colleghi professori, amici artisti e gente comune. Malagoli, senza esitare, ci guardò negli occhi e con un sorriso che ci aprì il cuore, ci rispose: “Volentieri. Il vostro Santo è un fenomeno di espressione umana che mi colpisce. Sono qui alla conferenza del Prof. De Maio con animo sereno e desiderio di conoscere. Vediamo fra qualche giorno a casa mia…” Il prof. Edoardo Malagoli, viveva a Forio d’Ischia in una graziosa villetta in via Spinavola, 56 immersa nel verde e nel silenzio tipico per chi pensa e crea. Raggiungemmo Casa Malagoli in compagnia del collega ed amico Almerico Di Meglio. L’accoglienza fu magnifica. Il Professore ci intrattenne per oltre un ora. Parlammo di scuola, di politica locale, di giovani, di ambiente, della sua passione per canoa, del mare e di San Giovan Giuseppe, il tema insolito che lo impegnò a scrivere del nostro Santo Concittadino, di cui oggi, 5 marzo ricorre l’anniversario della morte avvenuta nel 1734 e che gli ischitani sull’isola, in Argentina (Mar del Plata) e in California (San Pedro) festeggiano con grandissima devozione. L’articolo richiesto, il professore l’aveva scritto e ce lo consegnò in busta chiusa. Evidentemente, per non far disperdere quello spirito mistico contenuto nelle parole che Malagoli aveva scritto per noi.

11/03/2014 · L'EDITORIALE